Dai wax africani a mascherine bianche, grigie, blu.
E’ stato un attimo. Da quasi due settimane eravamo tutti chiusi in casa, con il sottofondo costante dei telegiornali che ripetevano numeri terrificanti e quell’oggetto del desiderio, la mascherina, accompagnata sempre da negazioni: non ci sono, non si trovano, non le avevamo.

Poi il 23 marzo al Tg delle 13.00 abbiamo ascoltato un servizio dedicato a un gruppo di velisti di Palermo che avevano reinventato il loro capannone avviando una produzione artigianale di mascherine da donare alla comunità.

E in un lampo tutti i puntini si sono uniti: abbiamo sarti, abbiamo macchine da cucire. I negozi sono chiusi, ma sono pronti ad aprire o consegnare tessuto a chi deve realizzare materiali di necessità. Una serata di messaggi whatsapp, qualche dubbio: possiamo uscire per prendere i materiali, le nostre mascherine andranno bene, saranno utili?

Di mascherine non ne abbiamo mai fatte ma dal 24 marzo non ci siamo fermati: cerchiamo istruzioni, tutorial, ci confrontiamo con amici medici per capire se il tessuto non tessuto in doppio o triplo strato possa essere uno strumento utile per proteggere la società civile.

Babakar inizia i primi test, in casa sua. Ahmad, Giovanna e Tania rispondono alla nostra chiamata e studiano tutorial con le foto del primo modellino realizzato.

E così inizia la nostra nuova avventura fatta di piccoli numeri ma tanta volontà. Ad oggi sono 1200 le mascherine donate: a Messina, alla Protezione civile per i cittadini e alla Casa circondariale per detenuti, operatori e polizia penitenziaria: a Roma, alla comunità Sant’Eustachio per i senzatetto, al III Municipio per anziani e disabili.

Le stoffe della collezione 2020 sono pronte per riportare il colore a questa strana primavera e non è detto che non ci inventeremo qualcosa anche con queste, ma per il momento le giornate LaMIn sono fatte di rettangoli di tessuto che raccontano quando l’incontro tra comunità possa far nascere nuovi soluzioni.